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crisi di coppia, giardini di Tuileries, incomunicabilità di coppia, passeggiata a Place des Vosges, routine, rue de la Paix, rue Rivoli, umiliazione, viaggio a parigi
Alba e suo marito Giovanni passavano le vacanze tutti gli anni tassativamente in villaggi all inclusive, da qualche parte in giro per il mondo. Cambiavano solo le spiagge, il colore del mare, la durata del volo, ma per il resto era tutto più o meno uguale. Infatti partivano sempre con lo stesso tour operator, rigorosamente 5 stelle, dove tutto era organizzato. Nessuna decisione da prendere. Corso di stratching alle nove, pilates alle dieci, acquagym alle undici, a mezzogiorno aperitivo sulla spiaggia. I pensieri in vacanza possono vagare troppo, pensava Alba, quindi bisogna tenerli a bada con delle attività. Un’agenda ben organizzata poteva aiutare a sentirsi meno soli, a non cadere nel burrone dell’anima. Così era facile bere molti aperitivi e chiacchierare con le altre mogli sole, aspettando che i mariti tornassero contenti e rilassati dalle loro escursioni.
Alba poteva anche attendere Giovanni per una giornata intera, senza arrabbiarsi né alterarsi. Senza accorgersi di consumarsi dentro mentre lo aspettava. Spesso e volentieri, quando lui rientrava dalle sue innumerevoli attività sportive, lei era già alticcia al suo secondo o terzo aperitivo molto alcoolico. Così le sembrava sempre una bella giornata! Poi non importava se al suo ritorno scambiavano all’incirca una decina di parole lei e Giovanni, le sembrava normale. Alla fine erano talmente stanchi per gli innumerevoli reciproci impegni che a poco a poco anche il dialogo venne declassato dalle priorità della coppia.
Le vacanze passavano in un soffio e i giorni incalzavano uno dietro l’altro, contando loro gli anni trascorsi insieme. E contando insieme anche il cumulo di frasi non dette cui non avevano saputo dar voce.
Da quant’è che erano sposati? Da trent’anni. Da più di venti facevano lo stesso tipo di vacanza. Da dieci non facevano più i preliminari prima di fare l’amore. Da cinque non si baciavano più sulla bocca. Da due non si guardavano più negli occhi.
Da qualche tempo a questa parte Alba riusciva inoltre a cogliere un leggero fastidio nello sguardo di Giovanni per le più svariate ragioni. Per essere ingrassata, per avere i capelli in disordine, per le innumerevoli rughe sul viso, per il seno cadente. Per morire ogni giorno di più davanti ai suoi occhi.
Vicino a lui, Alba aveva finito per spegnersi inesorabilmente. La fiamma che ardeva dentro di lei si era oscurata. Lentamente era stata privata dell’ossigeno, della luce, del respiro, della linfa vitale, imprigionata come una bestiolina preistorica dentro un’ambra meravigliosa. Era rimasta inevitabilmente incastrata in un cliché ripetuto a memoria, come una scena teatrale di un vecchio e polveroso copione dimenticato.
“Buonasera caro ben rientrato, è andata bene la giornata?”
False attenzioni svuotate di significato, parole regalate al vento nella speranza di essere trasformate in contenuto.
“Le solite cose, sempre i consueti grattacapi in ufficio, niente di speciale.”
Risposte a perdere.
“E tu cos’hai fatto oggi?”
Nessuna voglia di raccontarsi veramente, nel bene e nel male. Paura di raccontare cosa c’è giù dal precipizio. O semplicemente paura della caducità delle cose, dell’agonia del loro amore. O anche paura di guardarsi negli occhi e di ammettere che l’amore era finito, sbiadito col tempo, fino a diventare una brutta copia di se stesso. Come se la sua essenza si fosse persa nell’oblio, senza nessun motivo apparente. Inevitabilmente divenuto un derelitto arenato nel mare della quotidianità.
Alba percepiva tutto il decadimento della sua piccola vita ma le sembrava più facile andare avanti facendo finta di niente. La sua unica ancora di salvezza era la profumeria di fiducia dove rifugiarsi volentieri quando arrivava puntuale e spietata la depressione.
Quando Alba usciva vittoriosa col suo prezioso bottino pieno di prodotti inutili e costosissimi, aveva sempre un gran sorriso. Si sentiva meglio quando ci era stata, così poi poteva tranquillmente tornarsene rassicurata e rasserenata nella sua parte di moglie impeccabile.
Ma c’erano volte in cui nemmeno i suoi adorati articoli di profumeria riuscivano a farla sentire meno triste.
Come dopo quel week end passato a Parigi in un hotel 5 stelle in rue Rivoli. Lei e Giovanni erano alloggiati giusto di fronte ai giardini detti di Tuileries, per tegole di colore rosso utilizzate nei tetti delle case del quartiere. L’eleganza e la fastosità di questo parco rinascimentale era stato voluto fortemente da Caterina dé Medici. Un’italiana, regina di Francia, che riuscì ad imporre alla capitale europea del tempo il gusto italiano dell’arte.
Quando passeggiava in quei grandi spazi, Alba disturbava spesso e volentieri lo spirito della defunta sovrana, esprimendole i suoi personali giudizi sulla sistemazione dei giardini, osando persino dei suggerimenti.
Inventava dei veri dialoghi dove immaginava di parlare a quattr’occhi con la regina del restyling necessario per modernizzare la sua opera.
In quel preciso posto Alba riusciva finalmente a rilassarsi. Era come se il suo cervello riuscisse a fuggire per un attimo dalla rete di paranoie dov’era abitualmente tenuto prigioniero.
Nelle tracce del grande talento italiano, tutto le sembrava ancora possibile e uno spirito naïf le si risvegliava dentro, ispirandole idee azzardate come, tra le altre cose, un nuovo significato da dare a quel viaggio a Parigi.
Per esempio quello di cercare di far funzionare il suo matrimonio organizzando una giornata romantica in un posto insolito.
Peccato che per Giovanni l’obiettivo di quel week end fosse ben diverso: comprarsi l’ultimo modello dell’orologio Carthier, in Rue de la Paix, un posto, a detta di lui, dove sapevano veramente trattarti con i guanti, offrendo del vero champagne ai clienti di un certo calibro.
Era lampante che la coppia fosse spesso animata da intenzioni a dir poco discordanti.
Alla fine l’aveva avuta vinta Alba portandolo a pranzare in una brasserie molto carina che dava direttamente su Place des Vosges, dopodiché avevano fatto un giro nel giardino alberato al centro della piazza dove tutti approfittavano dell’ultimo sole estivo. Alba gli aveva proposto di distendersi sul prato imitando parigini e turisti: sembravano tutti così felici! Le pareva così di poter catturare un po’ di quella gioia palpabile e contagiosa. Ma Giovanni scoppiò a riderle in faccia, come se avesse detto un’enormità.
“Ma cosa ti salta in testa?! Sono cose da ragazzini! E poi ti ricordo che il tuo vestito in seta pura mi è costato ben duemila euro! Non vorrai mica rovinarlo?!”
Si dava il caso che si trattasse proprio del regalo di Giovanni per il compleanno di Alba.
Passeggiando sotto i portici caratteristici della piazza, Alba venne rapita dalla melodia di un’arpa. Un ragazzo qualunque interpretava un’aria romantica con passione, sfiorando le corde con la maestria e la delicatezza di chi conosce bene il suo strumento. Sembrava guidato da un istinto profondo. Anche lei da piccola sognava di suonare l’arpa, ma non aveva potuto permettersi delle lezioni a causa della povertà in cui versava la sua famiglia. Il suo sogno era quello di diventare la più grande arpista di tutti i tempi, ma purtroppo non ne aveva avuto la possibilità. Questo era il grande rammarico che si portava dentro sin dall’infanzia. Si sentì di rivelare a Giovanni questo piccolo segreto che non aveva mai osato condividere con lui, offrendoglielo sull’altare di un amore agonizzante, ottenendo di tutta risposta il silenzio più assordante di tutte le musiche mai suonate al mondo.
Alba per la prima volta percepì il disinteresse totale che suo marito nutriva nei suoi confronti, una sfacciata indifferenza per i suoi desideri e la sua essenza più profonda.
Piangere lì, in quel preciso momento, sarebbe stato troppo facile, troppo ovvio.
Non le restò che mandar giù quel boccone amaro come il veleno seppellendolo in fondo allo stomaco, dove sarebbe giaciuto fino a tempo debito.